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Tutti i terremoti sono il risultato del complesso movimento geologico delle zolle attive presenti sul nostro pianeta. Si possono immaginare le zolle come un insieme disomogeneo di pezzi di ghiaccio che si muovono sulla superficie di un lago. Scontrandosi, e sormontandosi, a volte deformandosi con secchi movimenti, ma soprattutto a causa di accumulo di forze elastiche trattenute da attriti che si sciolgono rapidamente, le zolle durante i terremoti, provocano onde sismiche che si generano all'interno della crosta terrestre e navigano poi sulla superficie di questa allontanandosi rapidamente in ogni direzione dall'epicentro. L'epicentro è il punto superficiale terrestre dal quale si dipartono le onde sismiche. Queste viaggiano con modalità diverse a seconda del tipo di materiale geologico che sono costrette ad attraversare, e provocano sul loro cammino, una serie di eventi più o meno catastrofici. Ipocentro invece, è chiamato il punto in profondità dal quale proviene la quantità maggiore di energia emessa durante un sisma.

Fig. 23 – Epicentro e Ipocentro

L'epicentro è il punto corrispondente sulla superficie terrestre da dove si propagano le onde sismiche di un terremoto. L'ipocentro è il corrispondente punto all'interno del pianeta, nel quale si sono sprigionate le forze che hanno causato il sisma.

Immagine tratta da:

Il Modello Friuli – Provincia di Udine

 

Analizziamo perciò dall'inizio le possibili condizioni di genesi di un terremoto, partendo da un esempio tipico.

Siamo in presenza di una faglia trasforme, ovvero di due zolle su di una linea di contatto, spinte da due forze distinte e contrapposte. Naturalmente l'attrito tenderà a bloccare il loro movimento fino a quando l'accumulo di energia non sarà sufficiente a superare la resistenza dell'attrito. Superata la soglia dell'attrito, le due zolle si muoveranno rapidamente in direzioni opposte con movimenti paralleli alla linea di frattura, scatenando una serie di onde sismiche.

La profondità dell'ipocentro, punto dal quale partiranno tutti i tipi di onde sismiche, dipende dal punto di maggiore attrito, ma in genere si tratta, in questo caso, al massimo di poche decine di chilometri.

La grande energia che si è accumulata durante il blocco delle due zolle, tende quindi a liberarsi e a riportare le forze in condizione di quiete. Le tensioni cui sono sottoposte le zolle e il loro moto, possono essere paragonati a un cubo di pietra poggiato su una superficie ruvida e collegato ad un elastico. Mano a mano che l'elastico verrà teso, il blocco manterrà la sua posizione fino a quando non si sarà raggiunta una certa tensione, poi si muoverà rapidamente in avanti, quindi si bloccherà di nuovo finché l'elastico non avrà raggiunto nuovamente un ulteriore grado di tensione.

Durante il movimento, il cubo di pietra provocherà un rumore caratteristico, che non è altro che la manifestazione uditiva delle sole onde di frequenza udibile, tra tutte le altre emesse, che lo stesso ha provocato durante il suo movimento.

Allo stesso modo, due zolle geologiche durante un terremoto, provocheranno vari tipi di onde con uno spettro di frequenze anche ampio, alcune di frequenza molto bassa, non udibili, ma chiaramente avvertibili con apparati opportuni, altre, anche chiaramente udibili da uomini e animali.

Spesso, ma non sempre, un terremoto di una certa intensità, è preceduto da piccoli sommovimenti detti microscosse. La rilevazione delle microscosse può essere un valido sintomo di previsione entro periodi relativamente brevi. Purtroppo non sono a disposizione al momento attuale, conoscenze per fornire delle previsioni sufficientemente esatte e precise, né sulla potenza dell'evento, né sui tempi di accadimento dello stesso.

Dall'ipocentro, quindi, le onde si propagano generando una serie di compressioni e dilatazioni della roccia. Allontanandosi dall'ipocentro (internamente al pianeta) o dall'epicentro (sulla superficie terrestre), le onde si muovono con modalità diverse raggiungendo o meno determinate zone del pianeta.

 

 

 

Fig. 24 – La propagazione delle onde sismiche

 

Leonde sismiche vengono generate all'interno del pianeta, in corrispondenza dello sprigionarsi di forze a seguito di attriti. La propagazione però non è né costante né lineare. Vi sono alcune zone del pianeta che deflettono la propagazione delle onde causando zone d'ombra nelle rilevazioni dei sismografi.

 

Immagine tratta da:

I regni della Vita – Le montagne – Mondadori

 

 

 

 

 

Le principali manifestazioni sismiche sono di due tipi e si manifestano con terremoti di tipo sussultorio o ondulatorio. Il moto sussultorio si ha quando il terreno si muove rapidamente abbassandosi e rialzandosi, quindi con movimenti posti sull'asse verticale, il moto ondulatorio avviene quando il terreno si comporta come la superficie di un lago in cui vi si è gettato un sasso. Entrambi i moti, se le potenze in gioco sono molto elevate, sono estremamente distruttivi. Il movimento sussultorio può rapidamente sgretolare qualsiasi struttura non sufficientemente solida anche se di altezza minima, il moto ondulatorio, invece, provoca delle tensioni estreme in tutte le strutture elevate, generando un collasso strutturale, allorquando non siano state costruite con caratteristiche tali da sopportare questo tipo di sollecitazioni.

La propagazione delle onde sismiche è varia in funzione del tipo di terreno che attraversano. In corrispondenza di terreno roccioso e compatto, le onde si propagano con perdite di energia minima, diversamente lungo terreni ghiaiosi o comunque composti da rocce frantumate, le onde perdono più o meno rapidamente energia e si esauriscono lungo percorsi più brevi. Questo spiega perché talvolta determinate zone più lontane dall'epicentro siano più danneggiate rispetto ad altre più vicine.

I terremoti caratterizzati da ipocentri con profondità estreme, si parla anche di 700/800 km., quindi generalmente molto più profondi dello spessore medio della crosta terrestre, si formano quando una piastra è costretta a scendere a scendere al di sotto di una zolla.

Fig. 25 – Piastra in subduzione

I terremoti possono avere ipocentro anche molto profondo 7/800 Km. E ciò avviene quando le forze in gioco si trovano in corrispondenza di una piastra in subduzione.

Immagine tratta da:

Il Modello Friuli – Provincia di Udine

L'immersione verso il basso di uno strato consistente di crosta, sarà perciò sollecitato da diversi tipi di forze, non ultime quelle che cercheranno di frantumarla. Piccole o grandi fratture interne, provocheranno quindi terremoti più o meno intensi che raggiungeranno la superficie terrestre dopo un lungo percorso, perdendo in tal modo intensità ed energia. Generalmente si può affermare che un terremoto con ipocentro vicino sarà maggiormente distruttivo e limitato in estensione, diversamente un sisma caratterizzato da ipocentro molto profondo, sarà meno violento ma ampiamente esteso.

Successivamente alla scossa principale, generalmente seguono delle altre scosse dette di assestamento, ovvero che liberano energie residue relativamente piccole. In qualche caso però queste energie residue possono risultare ancora di potenza sufficiente per provocare ulteriori fenomeni distruttivi.

L'esperienza indica che esistono due principali tipi comportamentali dei terremoti. Il primo, quello più temibile, accade quando sono in gioco forze elastiche e attriti molto elevati. Il che provoca un accumulo di energie che si liberano violentemente quasi in un'unica soluzione, manifestando effetti particolarmente distruttivi e soprattutto di difficile previsione riguardo alle tempistiche e alle energie liberate. Il secondo è caratterizzato da sommovimenti frequenti e prolungati nel tempo ma con intensità minore. Anche se i totali delle energie liberate possono, in certi casi, risultare analoghi, nel secondo caso i danni che si verificano sono in misura molto più limitata.

 

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