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Per gli antichi greci le eruzioni vulcaniche erano provocate dai Titani. I Titani combattevano con gli déi dell'Olimpo e nelle loro tremende battaglie scuotevano la Terra, la quale in tutta risposta non poteva che vomitare il fuoco nascosto nelle proprie viscere.

Il più grande dei Titani era Tifone, figlio di Tartaro e di Gaia (il leggendario nome del pianeta Terra). Gli déi, per punire la sua insolenza di volerli combattere, lo imprigionarono sotto il vulcano Etna. Ma Titano non si diede per vinto. Le sue urla e i suoi gridi si sentivano lontano chilometri, si scuoteva e muoveva la terra per la rabbia, il suo alito incandescente fuoriusciva infine dalla bocca del vulcano. Per la leggenda i vulcani nascondevano un'officina. Efesto, dio del fuoco e dei vulcani, sotto il mediterraneo fucinava le armi per gli déi. Fulmini per Giove e armi e scudo per Achille. Infine i ciclopi, il cui loro unico occhio simboleggiava proprio la bocca di un vulcano mentre la loro statura e forza si paragonava a quella delle montagne. Quello che fuoriusciva dai vulcani del Mediterraneo era perciò il fumo e le scintille provocate dal lavoro di Efesto e dei ciclopi.

Furono i greci antichi, mediante osservazioni e deduzioni logiche, a immaginare la vera natura dei vulcani, ma la civiltà fiorente di Creta, popolo di navigatori che controllava le principali coste, è stata scossa nel 1650 a.C. circa, da una potente eruzione del vulcano posto sull'isola di Santorini, coinvolgendo la capitale Cnosso. Un primo strato di pomice eruttata dal vulcano elevò uno spessore di quattro metri prima di lasciare spazio a una breve calma. Successivamente il vulcano esplose distruggendo anche sé stesso e seppellendo l'isola di Santorini sotto uno strato di pomice di circa sessanta metri. Quello che restò del vulcano sprofondò infine nel mare, ma il maremoto conseguente ai sommovimenti tellurici, provocò ondate alte duecento metri che spazzarono via gli insediamenti costieri cretesi.

La vicenda venne successivamente descritta da Platone nella sua opera “Crizia” e ciò da probabilmente ebbe origine la leggenda di Atlantide.

I romani ereditarono quindi leggende e timori, dapprima sostituendo i nomi dei protagonisti: Tifone divenne Encelade ed Efesto fu Vulcano, dio romano del fuoco.

Perfino nel Vecchio Testamento, successivamente introdotto a Roma mediante la religione cristiana, si possono rinvenire tracce di vulcani.

Alcuni pensano che le famose piaghe d'Egitto descritte nella Bibbia siano la conseguenza dell'eruzione del vulcano di Santorini. Un'altra ipotesi riguarda la fuga dall'Egitto permessa dal ritiro delle acque del mar Rosso che potrebbe essere stata una conseguenza del maremoto provocato dallo stesso evento. Altre suggestive immagini della Bibbia lasciano pensare facilmente ai vulcani: “La Maestà Divina si stabilì sul monte Sinai che fu avvolto per sei giorni dalle nuvole, il settimo da una nuvola il Signore chiamò Mosé. Ora la Maestà divina apparve come un fuoco che divorava la sommità della montagna, mostrandosi alla vista dei figli di Israele” (Esodo XXIV, 16-17).

“Ora, il terzo giorno, di mattina ci furono tuoni e fulmini, e una nube densa sulla montagna, e si udì un suono di corno molto intenso. Tremarono tutti gli uomini nell'accampamento. Mosé fece uscire tutti gli uomini al cospetto della divinità, ed essi si fermarono ai piedi della montagna. E ora la montagna del Sinai divenne tutta fumante perché il Signore vi era disceso in mezzo alla sua fiamma; il suo fumo si innalzò come quello di una fornace e la montagna intera venne scossa violentemente. Il suono del corno aumentò di intensità. Mosé parlò e la voce divina gli rispose” (Esodo XIX, 10-21).

Più recentemente i vulcani sono stati oggetto di romanzi e libri. All'inizio del 900, un erudito scrittore M.P. Shiel redigeva “La nube purpurea”, in Italia edito da Adelphi, un romanzo in cui ipotizzava l'emissione di una nube di acido solfidrico da una serie di vulcani, che avrebbe praticamente distrutto l'intera umanità, lasciando sé stesso quasi unico testimone dell'evento.

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